Di certo nella mitologia greca i miti sono davvero tantissimi e alcuni molto conosciuti. Uno dei più conosciuti è di certo il mito di Edipo, noto anche perché nel ‘900 ha avuto anche una rilettura freudiana nella psicanalisi. Il mito di Edipo che sposa sua madre, con cui avrà dei figli, e uccide suo padre è un classico della letteratura di tutti i tempi. Meno conosciuti sono invece i figli che Edipo ebbe con la madre Giocasta: Eteocle e Polinice.
I figli di Edipo mostrarono una grandissima malvagità, soprattutto nell’età adulta. Essi espressero al massimo la loro malvagità sia nei confronti del padre che nei confronti del re, Creonte. Edipo aveva lasciato la sua corona a Creonte dopo essersi accecato in seguito alla scoperta di aver ucciso il padre e di aver sposato la madre.
Eteocle e Polinice erano gemelli e dunque nessuno dei due aveva priorità nel regnare una volta giunta l’ora. Per questo motivo essi istituirono una sorta di diarchia che permettesse loro di regnare ad anni alterni. Per decidere chi dei due dovesse regnare per primo si estrasse a sorte. Il prescelto dalla sorte fu Eteocle che però, l’anno successivo, invece di rispettare il patto, fece esiliare il fratello Polinice.
Polinice non salì dunque al trono ma si rifugiò nella città di Argo, governata dal re Adrasto. Tuttavia, per riconquistare il trono di Tebe, egli mosse guerra al fratello. Guerra in cui morirono entrambi. Questa morte che si provocarono a vicenda era figlia di una maledizione che aveva gettato su di loro lo stesso Edipo.
Edipo maledisse i figli nel momento in cui loro mostrarono la loro malvagità crescendo. Edipo ormai vecchio e cieco li maledisse facendo in modo che essi, bramosi di regnare, si uccidessero a vicenda per la lotta al trono.
Il destino di Eteocle e Polinice
Mentre dopo la morte, il corpo di Eteocle fu onorato dalla città, quello di Polinice fu lasciato insepolto proprio per ordine di Creonte.
I fratelli vennero però poi messi insieme sulla pira per essere bruciati, affinchè entrambi potessro avere degna sepoltura. Nel momento in cui la pira prese fuoco, esso si divise in due. La divisione del fuoco simboleggiava proprio l’odio reciproco che avevano i due fratelli. Nella vita come nella morte il loro odio era perdurato tanto da voler dividere anche le fiamme che bruciavano i loro corpi, ormai senza vita.
Questo episodio curioso e triste fu ripreso da Dante nella sua Divina Commedia nel XXVI canto dell’Inferno. Qui Dante però ha descritto la fiamma che avvolgeva Ulisse e Diomede, anch’essa biforcuta per l’odio reciproco che essi provavano. La forza del mito sta proprio nella rielaborazione e nell’adattamento che ne vengono fatti più volte nel tempo al fine di rafforzare un concetto tramite una storia di impatto.